Il Bloom ha inoltre questo significato: ognuno sa, per conto proprio, di non essere se stesso. Anche se ogni tanto, davanti a questa o quella persona, il più delle volte nell’anonimato, possiamo avere la sensazione opposta, in fondo la percezione che abbiamo di noi è quella di una esistenza inautentica, di una vita fittizia. L’incombenza interiore dell’Altro si collega a tutti gli stadi della nostra coscienza: è una lieve ma costante perdita d’essere, un prosciugamento progressivo, una piccola morte che si ripete senza
sosta.
Nonostante tutto questo, ci ostiniamo a voler
assumere l’ipotesi estrinseca di una nostra identità con noi stessi, giocando al soggetto. Ma una sorta di
vergogna si accompagna a questa lacerazione e cresce con essa. Allora cerchiamo l’evasione, proiettandoci sempre più violentemente all’esterno, il più
lontano possibile da questa terrificante tensione interiore. Bisogna che non ci si accorga di niente: l’imperativo è aderire alla nostra «identità» sociale, rimanere estranei alla nostra estraneità, FAR BELLA
FIGURA davanti a questo campo di rovine.
Ritroviamo questa menzogna in ognuno dei nostri
gesti.
Ecco il punto.
È finito il tempo di far letteratura distillando le
varie miscele del disastro.
Fino ad ora si è scritto troppo e non si è pensato
abbastanza a proposito del Bloom.
Tiqqun
Théorie du Bloom
© 2000 e 2004 La Fabrique éditions, Paris Tiqqun
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