L’imperativo della previsione

Per dire la sua sul futuro del web, Eric Schmidt non avrebbe potuto trovare un contesto più adatto del World Economic Forum di Davos, in Svizzera. Nel 2015, in quel parco giochi dei neoliberali – tra i quali i capitalisti della sorveglianza erano sempre più numerosi – a Schmidt venne chiesto di parlare del destino di internet e lui, seduto accanto alle sue ex colleghe di Google Sheryl Sandberg e Marissa Mayer, senza esitazione si disse convinto che “internet scomparirà. Ci saranno talmente tanti indirizzi IP, […] un’infinità di dispositivi, sensori, cose indossabili, cose con le quali interagire, che non ve ne accorgerete neanche più. Sarà parte di noi costantemente. Provate a immaginare: entrate in una stanza, e quella stanza è dinamica”.1 Il pubblico trattenne il fiato meravigliato, e poco dopo i giornali di tutto il mondo riportarono sconvolti che l’ex ceo di Google aveva dichiarato che la fine di internet era vicina.

In verità, Schmidt stava solo parafrasando il fondamentale articolo del 1991 dell’informatico Mark Weiser, “The Computer for the 21st Century”, che per quasi tre decenni era stato un punto di riferimento per gli obiettivi della tecnologia della Silicon Valley. Weiser aveva presentato quella che lui chiamava “computazione ubiqua” con due frasi leggendarie: “Le tecnologie più profonde sono quelle che scompaiono. Si legano al tessuto della vita quotidiana fino a diventare indistinguibili da esso”. Aveva descritto un nuovo modo di pensare “in grado di consentire ai computer stessi di svanire sullo sfondo. […] Macchine che si adattano al contesto umano invece di costringere gli umani a entrare nel loro mondo renderanno l’uso di un computer corroborante come una passeggiata nei boschi”.2

Weiser aveva capito che il mondo virtuale non poteva essere altro che un territorio ombra, a prescindere dai dati assorbiti: “La realtà virtuale è solo una mappa, non un territorio. Esclude scrivanie, uffici, le altre persone, il meteo, gli alberi, le passeggiate e in generale l’infinita ricchezza dell’universo”. Aveva scritto che la realtà virtuale “simula” il mondo anziché “aumentare il mondo già esistente”. Al contrario, la computazione ubiqua avrebbe infuso nel mondo reale un apparato universalmente interconnesso costituito da una computazione silenziosa, “calma” e vorace. Weiser chiama questo apparato il nuovo “ambiente computazionale” e si bea delle sue possibilità di conoscenza illimitata, come sapere “quale abito hai rimirato a lungo la settimana scorsa, perché conosce entrambe le tue posizioni, e può risalire retroattivamente a chi l’ha creato, anche se all’epoca quell’informazione non ti interessava”.3

Schmidt non stava descrivendo la fine di internet, né la sua liberazione da dispositivi appositi come il pc e lo smartphone. Per i capitalisti della sorveglianza, un passaggio simile non è una scelta. I profitti della sorveglianza hanno scatenato un’intensa competizione per i profitti del nuovo mercato dei comportamenti futuri. Anche i processi più sofisticati di conversione del surplus comportamentale in prodotti in grado di prevedere accuratamente il futuro dipendono dalle materie prime che processano. I capitalisti della sorveglianza pertanto si chiedono: quale forma di surplus consente la fabbricazione di prodotti predittivi in grado di predire il futuro nel modo più affidabile? Questa domanda è un punto di svolta cruciale nell’elaborazione pratica del capitalismo della sorveglianza. Cristallizza un secondo imperativo economico, l’imperativo della previsione, e rivela il ruolo decisivo che ha nel determinare i guadagni dei capitalisti della sorveglianza.

La prima ondata di prodotti predittivi consentiva la pubblicità targettizzata online. Si trattava di prodotti che dipendevano dal surplus ricavato in quantità di scala su internet. Ho riassunto la competizione per il surplus di scala come l’imperativo dell’estrazione. La competizione per i profitti della sorveglianza ha raggiunto però un punto nel quale il surplus è diventato una condizione necessaria ma non sufficiente per il successo. La soglia successiva è stata fissata dalla qualità dei prodotti predittivi. Nella corsa per raggiungere il grado più alto di certezza, si è giunti a capire chiaramente che le migliori previsioni avrebbero dovuto approssimarsi all’osservazione stessa. L’imperativo della previsione è l’espressione della competizione tra queste forze (si veda la figura 3).

Google/Alphabet, Facebook, Microsoft e molte altre aziende convertite alla sorveglianza hanno cercato di mettere le mani sulla “scomparsa” di internet semplicemente perché devono farlo. Costretti a migliorare le previsioni, i capitalisti della sorveglianza come Google hanno compreso di dover ampliare e diversificare le proprie architetture dell’estrazione per arrivare a nuove fonti di surplus e a nuove operazioni di rifornimento. L’economia di scala sarebbe stata ancora necessaria, naturalmente, ma in questa nuova fase le operazioni di approvvigionamento avrebbero dovuto essere ampliate e intensificate per contenere economie di scopo ed economie d’azione. Che cosa comporta tutto questo?

Il passaggio alle economie di scopo pone una nuova serie di obiettivi: il surplus comportamentale dev’essere non solo tantissimo, ma anche vario, e tali variazioni vanno sviluppate in due dimensioni. La prima è l’estensione delle operazioni di estrazione dal mondo virtuale al mondo “reale” dove effettivamente viviamo le nostre vite. I capitalisti della sorveglianza hanno capito che i loro guadagni futuri sarebbero dipesi dalle nuove vie di approvvigionamento che riguardano anche la vita vera che si svolge in strada, tra gli alberi, in tutte le città. L’estensione vuole la nostra circolazione sanguigna e il nostro letto, le chiacchiere che ci scambiamo a colazione, il passaggio che ci porta al lavoro, la nostra corsetta, il nostro frigorifero, il nostro parcheggio, il nostro salotto.

Le economie di scopo procedono anche lungo una seconda dimensione: la profondità, la cui ricerca da parte delle economie di scopo è ancor più sfacciata, perché si basa sull’idea che il surplus comportamentale più predittivo, e pertanto più remunerativo, possa essere scandagliato nelle dinamiche più intime del sé. Queste operazioni di rifornimento mirano alla nostra personalità, ai nostri stati d’animo, alle nostre emozioni, bugie, e ai nostri punti deboli. Ogni livello d’intimità deve essere automaticamente catturato e appiattito in una marea di dati a uso e consumo delle catene di montaggio di una fabbrica che come obiettivo si pone la certezza assoluta.

Come le quantità di scala sono divenute necessarie ma non sufficienti per creare prodotti predittivi di alta qualità, così è risultato evidente che le economie di scopo sarebbero state necessarie ma non sufficienti per creare prodotti predittivi in grado di garantire un vantaggio permanente nei nuovi mercati dei comportamenti futuri.

Il surplus comportamentale deve essere vasto e vario, ma il modo più sicuro per predire un comportamento è intervenire alla fonte e determinarlo. Chiamo i processi ideati per raggiungere tale obiettivo economie d’azione. Per ottenere tali economie, i processi delle macchine vengono configurati per intervenire sullo scenario del mondo reale, tra persone e cose reali. Questi interventi sono pensati per aumentare la certezza che le cose vengano fatte: suggeriscono, spingono, dirigono, manipolano e modificano i comportamenti verso direzioni specifiche, per mezzo di azioni impercettibili come inserire una determinata frase nel nostro feed di Facebook, o programmare il momento in cui il pulsante acquista comparirà sul nostro telefono, o bloccare il motore della nostra automobile se siamo in ritardo con l’assicurazione.

Questo nuovo livello di competizione caratterizzato dal binomio scopo-azione incrementa l’invadenza delle operazioni di approvvigionamento e dà il via a una nuova era per il commercio della sorveglianza, che io chiamo il business della realtà.

Shoshana Zuboff, ” il capitalismo della sorveglianza” .

Originariamente pubblicato negli Stati Uniti d’America

da Public Affairs con il titolo The Age of Surveillance Capitalism.

The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power

© 2019 by Shoshana Zuboff

Per questa traduzione italiana

© 2019 Luiss University Press

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