Sulla libertà di cura

Il diritto alla scelta del proprio destino, o più esattamente , l’autodeterminazione individuale della propria esistenza,  nel rispetto e nei limiti di quella altrui, rimane in Italia un diritto tutt’altro che garantito.

L’Italia è uno paese laico dal 1984 eppure la fragilità di questo principio supremo dello Stato resta palese,  sempre suscettibile di aggressioni da parte di forze reazionarie e conservatrici che ne minano il senso e il valore.

Vecchie forme di controllo della libertà individuale tornano ancora ad ogni slancio della società civile, mascherate con nomi nuovi e nuove menzogne, per imporre convinzioni manipolatorie ed egemoniche al solo fine di controllare le masse attraverso il consenso e il pregiudizio.

Anche laddove l’informazione e la consapevolezza storica abbiano ormai spazzato via le inconsistenti fondamenta di queste visioni superate e vetuste, esse tornano a sabotare i diritti che riguardano l’autodeterminazione dell’ esistenza di ognuno.

Sembra francamente inutile e superfluo elencare i benefici di una regolamentazione di fenomeni quali l’aborto, i trattamenti di fine vita o la definizione della scelta e della parità di genere. Le evidenze storiche nonché l’evoluzione della coscienza collettiva, in merito a questi temi, hanno già da tempo dimostrato l’urgenza di stabilire leggi che ne riconoscano la validità e l’importanza.

Tuttavia le istituzioni dello stato e i partiti politici, continuano ad esimersi dal prendere posizioni risolutorie riguardo a questi temi, evitando accuratamente di inimicarsi il “partito di Dio”, quella informe accozzaglia di miopi perbenisti che fa capo alla santa sede e che trova adesione trasversale all’interno degli schieramenti del parlamento, per pura viltà intellettuale e nondimeno, per interessi economici e politici legati al consenso e al mantenimento dei privilegi acquisiti.

Non è un segreto per nessuno quale sia la portata delle ingerenze della santa sede nelle questioni che regolano le scelte etiche della classe politica nel bel paese, i 50 e più anni di governo della democrazia cristiana sono solo l’ultima evidenza storica di una lunghissima egemonia che ebbe inizio con l’editto di Tessalonica, emesso il 27 febbraio 380 dagli imperatori Graziano, Teodosio I e Valentiniano II , il quale dichiarava il cristianesimo la religione ufficiale dell’impero e bandiva tutti gli altri culti e le espressioni della conoscenza (nonché  nel 529 la chiusura della scuola filosofica di Atene) , e della quale ancora oggi non si vede la meritata sepoltura.

Rimane tuttavia aperta la questione, centrale, circa l’adesione morale ad una visione del mondo e della realtà che non si lascia risolvere dalle indicazioni sanitarie o da quelle legali, ne tantomeno da quelle religiose.

Ciò che qui è realmente in discussione è il diritto fondamentale di ognuno di stabilire da se stesso, e per se stesso, quale stato o condizione di salute sia più fedele e conforme ai propri principi etici e morali, poiché la salute è di certo una esperienza soggettiva, non mutuabile ad alcuno, e comunque non sacrificabile ad alcuna visione del mondo, anche  se religiosa.

È altrettanto vero, d’altronde, che le stesse istituzioni religiose che richiedono di rinunciare a perseguire uno stile di vita adeguato alla propria idea di felicità, trasgrediscono voluttuosamente quegli stessi principi che impongono alla società civile, occultando il più delle volte nei recessi della giurisdizione ecclesiastica le aberrazioni di cui le cronache sono straripanti, e ponendosi, in questo modo, al di sopra di qualunque critica etica e normativa.

Ebbene, se la salute e il benessere sono esperienze personali, indissolubilmente legate alla propria idea di felicità e non suscettibili di essere demandate ad alcuno, perché  i fautori della morale si oppongono cosi ostinatamente e con tanta caparbietà a quelle leggi che restituirebbero un diritto fondamentale alla collettività ?

La risposta è, purtroppo, ovvia, per limitare l’autodeterminazione e la libertà di scelta.

La Costituzione della Repubblica Italiana, (1947) stabilisce che
Il Diritto alla Salute è un diritto fondamentale
L’Articolo 32 recita: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

(L’art. 32 della Costituzione deve essere letto anche in relazione all’articolo 13 della Costituzione, il quale recita: “La libertà personale e inviolabile“).

Il rispetto della dignità, dei diritti e della libertà dell’uomo, sono precondizioni essenziali perché la ricerca scientifica, la pratica medica e quella della giurisprudenza siano eticamente accettabili, eppure l’impossibilità di stabilire in maniera scientifica cosa sia effettivamente una “persona cosciente” rimette seriamente in discussione il senso stesso della parola “cura”, e favorisce il consolidarsi di una zona d’ombra ove la morale imposta dalle dottrine religiose e politiche trovano facili varchi per insinuare il pregiudizio e la xenofobia.

Coloro i quali sostengono che il corpo sia la sede di un’anima divina, immortale e indisponibile  alla conoscenza, generalmente istituzioni religiose come la chiesa cattolica , fondano le loro critiche alla libertà di scelta terapeutica su due fondamentali premesse dogmatiche: l’identità ad “immagine e somiglianza” dell’uomo al suo Dio e la “sacralità della vita”. Ma queste premesse sono assunti della fede, e non riguardano l’esperienza soggettiva della salute, che deve essere tutelata anche in chi non aderisce ai suddetti precetti.

Imputando sacralità alla vita e identità divina alla persona, le istituzioni religiose, vorrebbero consegnare il destino individuale all’oblio nella fede, e sottrarre al libero arbitrio la possibilità della scelta circa l’individuazione della propria naturale dimensione spirituale,  vedono, quindi, nella libertà di scelta terapeutica  e nell’autodeterminazione del proprio destino, un sacrilegio nei confronti della volontà divina che sovrintende a tutte le scelte umane.

Ovviamente, se la volontà umana è subordinata a quella divina, si esclude irrimediabilmente la possibilità di qualsivoglia potere di scelta sulla propria vita, ad eccezione del peccato, naturalmente.

L’affermazione del valore metafisico e assoluto della vita legittima e giustifica, in questo caso, la convinzione che l’uomo sia intrinsecamente incapace  di decidere circa l’ autodeterminazione del proprio destino, e ne rileva invariabilmente la finitezza e l’illusorietà delle scelte, condannandolo ad una vita da ebete la cui unica salvezza è la cecità nella fede, sotto la guida di un pastore.

Paradossalmente l’identità dell’uomo al suo Dio e la conseguente negazione della possibilità di superamento dei propri limiti esistenziali, vengono utilizzati come argomenti per esprimere condanna verso qualsiasi scelta, avanzamento tecnico o rimedio naturale che espanda la libertà individuale.

Tanto l’utilizzo di sostanze psicotrope quanto i trattamenti di fine vita, o l’autodeterminazione del proprio genere sessuale quanto la scelta di non portare a compimento una gravidanza,  sono temi che risentono invariabilmente di questo stato di proibizione dottrinale.

Inutile aggiungere che soltanto i “vicari” di Dio siano ritenuti capaci di scelte che possano in qualche modo incidere sui destini delle greggi ad essi sottoposti.

Non è qui in discussione la validità della dottrina cattolica, quanto la prepotenza e l’arroganza con cui si vorrebbe imporla anche a chi non aderisce ai suoi precetti.

Rimane tuttavia vivo il dubbio , legittimo, circa quale possano essere le motivazioni reali di chi discrimina gli uomini a causa della loro visione del mondo e della vita, solo perché diversa dai precetti religiosi, e come si possa definire immorale una pratica sulla base di una ipotesi non dimostrata; c’è sempre stata intolleranza xenofoba in questa evidenza storica, ieri si accendevano roghi , oggi si spengono diritti.

Tale modo di intercedere la divinità  non sembra affatto orientato verso la compassione, quanto verso il potere, il controllo e il pregiudizio, strumenti senza la quale è impossibile mantenere il consenso delle masse.

Non è mai stato chiaro il perché di tanto accanimento e proselitismo nei confronti di chi non sposa la visione teocratica e monoteistica dell’esistenza; questa evangelizzazione forzata, più che volontà di redenzione, ci sembra una colonizzazione forzata delle menti, dove l’impero egemone è quello della chiesa o dei suoi referenti.

In sostanza , le istituzioni religiose, nel nostro caso la chiesa cattolica, si riservano di stabilire quali cure siano accettabili e quali altre no, e giudicano come immorale qualunque ricerca personale del benessere che  si discosti dalla loro etica normativa, reprimendo in questo modo l’espressione di ogni individualità possibile.

Nel mondo ipotetico dei teologi è compito della morale stabilire cosa sia giusto e cosa non lo sia per l’umanità, anche riguardo la felicità personale e la salute, e questo monopolio spetta ai detentori del potere temporale,  (che nel nostro paese sono ben più che una istituzione)  e solo secondariamente e per via deferita a chi pratica la professione medica, la ricerca scientifica o la giurisprudenza.

Questo è francamente ridicolo allorquando si tratti di argomentare leggi dello stato che legiferano sulla salute pubblica, di fronte a questi temi l’opinione della chiesa è perlomeno incompetente.

Paradossalmente , ai medici e agli scienziati che si occupano, per amore della scienza, di curare le sofferenze del corpo, o ai legislatori che si occupano di regolare la convivenza civile, viene richiesto di agire nell’interesse di un’anima immortale, e quindi di un’ipotesi.

Ma ciò che viene messo in discussione dalla morale cattolica è propriamente l’affermazione del diritto di padronanza sul proprio corpo e sulla propria mente,  in forza di una presunta anima che apparterebbe a Dio e non all’uomo.

Ognuno ha il diritto di curarsi come desidera, spetta quindi ad ognuno decidere a quale cura o terapia sottoporsi per i suoi problemi ; nessuno, neppure il medico, può sindacare o contrastare le decisioni del malato.
Il malato ha diritto di scegliere la propria terapia, ha quindi piena Libertà di cura, anche quando questa possa essere dannosa per la sua anima, giacché la felicità e la salute rimangono, comunque li si veda, una esperienza personale.

Nessuno ha mai chiarito il fondamentale equivoco per cui la sofferenza,  che la medicina combatte, sia un requisito essenziale del contatto con Dio e con la sua gloria, d’altronde è pur vero che il cattolicesimo ha scelto come simbolo della propria dottrina, la croce, il patibolo del suo Dio, e non il simbolo della beatitudine della sua resurrezione, qualunque esso sia.

Ancora a lungo si dovranno fare i conti con l’utilizzo strumentale del senso di colpa da parte delle istituzioni religiose, che è così funzionale al perpetuarsi del loro potere, ma già si comincia ad intuire il perché di quel frutto della conoscenza posto in bella mostra e allo stesso tempo vietato, nel giardino dell’eden.

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