La cultura è morta.

Per quanto sia affascinante e rassicurante la credenza di vivere in un epoca che garantisce il libero accesso all’informazione, la realtà in cui siamo immersi è il frutto di un calcolo sistematico.

É stato fatto in modo che si possa venire a contatto solo con il superfluo.

Tale affermazione è dimostrata dalla crescente miseria umana che dilaga negli spazi della comunicazione e dell’informazione.

Non facciamo mistero della finalità di questo processo: ridurre la capacità critica degli individui al fine di condizionare le loro scelte.

Questo progetto non è nuovo nella storia del pensiero, non esiste epoca in cui coloro che ne traggano vantaggio non abbiano operato a tal fine, in principio fu la credenza religiosa, più avanti fu l’asservimento delle forze, ma mai come nella nostra epoca si sono avuti a disposizione mezzi cosi efficaci a tal fine. L’estenuante uso abusato che si fa della parola libertà ne è il sintomo più immediatamente osservabile.

E lo stupore di fronte al fatto che questo sia ancora possibile ne è la garanzia.

Mai come ora la cultura non produce cambiamenti negli stili di vita e nelle scelte individuali e collettive, anzi , ne aggrava la condizione. Non è un mistero neanche il risultato, prossimo, del fanatismo a cui tale condizione conduce.

Esiste una ciclicità, storicamente osservabile, in questo processo di esaltazione del dogmatismo, sia esso identitario o negazionista, e tale ciclo è scandito da quei momenti in cui il rimosso si cristalizza in una monade (cit.), ed esplode.

La caratteristica fondamentale di questi momenti storici è l’essere contrassegnati dalla violenza.

La violenza è il grande rimosso della civiltà, già Freud ci istruiva a riguardo (Il disagio della civiltà), ma questa violenza sempre ricorrente è anche, al tempo stesso, sempre nuova. Ogni epoca ha avuto il suo bouquet di barbarie e devastazione, ma è significativo considerare che allo stato attuale del progresso tecnico la portata di tale violenza potrebbe contrassegnare la fine della vita della specie umana, almeno come finora l’abbiamo conosciuta.

Esiste la reale possibilità che la sopravvivenza della specie sia determinata da una mutazione antropologica che elide la possibilità di fare riferimento alla specie umana come senziente.

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