Non può e non deve essere sfuggita ad alcuno, seppur sotto le sembianze e le spoglie di un presentimento, l’attuale mutazione antropologica in atto. Talvolta sottoforma di uno stupore latente, più spesso vestendo le mentite spoglie di un trauma nell’immaginario sociale, la deriva alienata dei propri contemporanei.

Il vulnus è localizzato nella percezione della realtà, la psicosi collettiva è il sintomo del fenomeno.

Lo stupore che si prova di fronte ad alcune risposte o di fronte a taluni atteggiamenti, spesso diffusi, ma eccezionalmente individuali, non ha nulla di misterioso, per quanto incredibile.

Cosa sta accadendo al tuo prossimo? Cosa lo rende cosi familiare e al contempo cosi estraneo? Come è possibile che accada ciò che sorprendentemente sembra non essere possibile?

La percezione della realtà è sempre comunemente stata il frutto di una interpretazione, è nella natura dell’ esperienza l’essere prospettica, relativa , proporzionale e contingente. È tuttavia, questa proporzionalità è diventata, gradualmente, la giustificazione che ha permesso a patologie caratteriali e a ideologie insostenibili di dimostrarsi attendibili sotto l’egida di un relativismo imperativo. Chi controlla l’informazione ha sempre potuto controllare l’opinione pubblica, è lo ha sempre fatto , dirigendo il suo corso verso le interpretazioni della realtà più confacenti al perseguimento di interessi particolari, ma, mai come ora questo controllo finalizzato ha avvalorato inclinazioni mitomaniacali che sfidano qualunque norma del buon senso, rasentando pericolosamente il delirio. La perdita della capacità di critica coerente sembra essere divenuta epidemica e ha generato una pericolosa distopia concettuale permanente, che rasenta l’allucinazione collettiva.

La vediamo manifestarsi in ogni cieca adesione acritica o in prese di posizione dogmatiche, ma è innegabile che sia una tendenza diffusa quella di decontestualizzare i fenomeni dal loro ambito fino a rasentarne il fraintendimento.

Ma come è stato possibile tutto questo? E fino a che punto è possibile spingere questa tendenza ? E quanta mancanza di empatia occorre per accettare tutto questo come “normale”?

Questo processo è il frutto maturo della mancanza di esperienza diretta, di uno o più fenomeni, che, virtualizzati e assimilati esclusivamente come rappresentazione del fenomeno stesso, ne determinano il deterioramento in una stereotipia.

Il condizionamento delle masse, attraverso il dilagare strategicamente interessato della manipolazione delle informazioni, sembra aver avuto un esito inaspettato. Ha superato i suoi intenti originari ed è trasceso in una abitudine patologica, dove tutti gli orizzonti si equivalgono.

É una verità alla portata di chiunque, quella, secondo la quale la MENZOGNA HA SEMPRE UN SECONDO FINE, e tuttavia questa banale affermazione ha aperto alla possibilità di dubitare di qualsiasi evidenza , innestando il sospetto su ogni riscontro oggettivo. Laddove ogni realtà si equivale alla sua nemesi nessuno è più in grado di affermare e dimostrare alcunché, ma chiunque può indebitamente dubitare di tutto. Ma questo dubbio non genera la ricerca feconda che pure è necessaria alla comprensione della realtà attraverso l’esperienza, giacchè l’esperienza è sempre più inaccessibile direttamente. Per fare una esperienza è necessario il coinvolgimento personale e il coraggio di abbandonare le proprie certezze, anche e soprattutto quelle che sostengono e alimentano la propria identità. La critica meccanica slegata dall’ esperienza lascia solo spalancata sul vuoto la narrazione del soggetto; per quanto riguarda la forma collettiva di questa critica, acquisita mediante il sostegno raggiunto in virtù della condivisione, essa ingenera suo malgrado una condizione di frustrazione diffusa nella condizione umana comunemente sensibile. Nella pochezza delle approssimazioni inverosimili dogmaticamente assunte, sopraggiungono , come risposta della realtà circostante, la rassegnazione e lo sconforto, come costanti della narrazione vissuta. Spesso questo sconforto genera come risposta istintiva Il trincerarsi dietro identitarismi che rasentano la violenza di una fede disperata. È questo il terreno sul quale germogliano neologismi che tentano invano di descrivere la caduta irreversibile della possibilità di comprendersi. Il linguaggio è divenuto il terreno di scontro di interessi frustrati, dall’impossibilità di vedere realizzato pienamente il desiderio dell’essere compresi, capiti e accettati.

Lo sviluppo tecnico ha avuto un ruolo determinante nell’ acuire questo conflitto.

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